Da almeno 10 anni, diverse società di gestione del personale si sono dotate di software di intelligenza artificiale che sono in grado di selezionare nei database e sui social network i candidati più capaci e di effettuare, successivamente, dei video-colloqui online senza necessità dell’apporto umano.

Nel 2022 il valore del mercato dell’intelligenza artificiale nell’ambito della selezione del personale è stimato in 3,89 miliardi di dollari e tra 5 anni potrebbe essere superiore ai 17 miliardi di dollari statunitensi.

Ma come operano tali software? Di fatto, essi elaborano in poco tempo milioni di informazioni, poi individuano i lavoratori più qualificati per svolgere determinate mansioni e, se autorizzati, li contattano.

Inoltre, alcuni software pongono domande standardizzate ai candidati, analizzano le risposte e, attraverso una webcam, anche il tono, la cadenza lessicale, le espressioni facciali e la postura, valutando anche quella che è l’intelligenza emotiva del candidato, la sua capacità di lavorare in squadra e l’affidabilità dimostrata nel corso delle “prove selettive”.

Ma quali sono i rischi connessi al loro utilizzo?

C’è chi segnala che questi software possano “portare con sé” i pregiudizi dei loro programmatori, di conseguenza anche delle discriminazioni.

Uno studio dell’AI Now Institute della New York University ha rilevato infatti come l’utilizzo di tali software possa determinare discriminazioni e, soprattutto, falsare i risultati perché non c’è alcuna garanzia che si riesca a scegliere effettivamente i candidati più adeguati.

Infatti, gli algoritmi sono settati su degli esempi e se questi sono “viziatiab origine “i vizi” condizioneranno il processo di selezione e reclutamento del singolo lavoratore.

Un ulteriore rischio è che l’algoritmo non riesca a tenere in considerazione persone capaci e adatte al ruolo da ricoprire soltanto perché esse presentano caratteristiche leggermente difformi da quelle che lo stesso ha imparato a ricercare per quella posizione.

Inoltre, è ancora difficile che le macchine riescano a cogliere le sfumature delle relazioni umane tanto che è lecito domandarsi se siamo davvero così sicuri che tali software possano davvero garantire una miglior e più equa selezione del personale?

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