(Foto di JodyDellDavis da Pixabay)

L’ultimo Rapporto (XIX) dell’Associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, presentato il 30 maggio scorso, mette in luce un drammatico primato: il 2022 è stato l’anno con il maggior numero di suicidi in carcere di sempre.

Sono infatti ben 85 le persone che nel corso dello scorso anno si sono tolte la vita all’interno degli istituti penitenziari del nostro Paese: 1 ogni 4 giorni. Una vera e propria “emergenza suicidi”.

Anche il 2023 sembra confermare questo drammatico trend, dato che sono già 22 i casi ad oggi.

A riprova del carattere emergenziale della situazione, non è solo il numero assoluto dei decessi, bensì anche la relazione tra questi e la media della popolazione detenuta durante l’anno, ovvero quello che viene definito come il tasso di suicidi. Infatti, nel 2022, il tasso registrato è stato il più alto di sempre, ossia 15,4 casi ogni 10.000 persone detenute (nel 2021, ad esempio, era 12,5 casi ogni 10.000 persone).

I dati destano maggiore preoccupazione se letti in relazione al numero di suicidi verificatosi tra la popolazione libera. Infatti, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’OMS e risalenti al 2019, il tasso di suicidi in Italia tra la popolazione non detenuta era pari a 0,67 casi ogni 10.000 persone. Ciò vuole dire che i casi di suicidio negli istituti penitenziari siano 23 volte superiori rispetto ai suicidi avvenuti in libertà.

Altro dato emblematico che emerge dal rapporto: la maggior parte delle persone che si sono tolte la vita in carcere (50, ovverosia quasi il 60%) lo hanno fatto nei primi sei mesi di detenzione, a riprova del fatto che il momento dell’entrata in carcere è un momento alquanto destabilizzate e, in quanto tale, necessitante di figure professionali, di protocolli e di strumenti di ausilio adeguati a farvi fronte.

Nel Rapporto viene poi riportata l’indagine condotta sulle condizioni di fragilità o vulnerabilità delle persone che si sono tolte la vita. Delle 85 persone, 68 (ossia l’80%) erano coinvolte in altri eventi critici e di queste 28 (vale a dire il 33%) avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio (in 7 casi addirittura più di un tentativo). Inoltre, 11 persone erano affette da patologie di tipo psichico, comprovate da certificazione psichiatrica.

Secondo Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone servono «modifiche radicali affinché la detenzione svolga una funzione rieducativa e non solo sanzionatoria. C’è innanzitutto bisogno di un travaso generazionale per coinvolgere più giovani, in tutti i ruoli, dal direttore e gli agenti penitenziari agli psicologi, educatori e mediatori culturali», oltre che una rivoluzione degli spazi che dovrebbero essere più fruibili e più aperti, con maggiori attività ed un’adeguatezza delle strutture.

Il problema, tuttavia, non è solo di carattere pratico ma soprattutto di carattere culturale, politico e di linguaggio.

Come ricorda, infatti, il Garante Nazionale dei Detenuti, Mauro Palma, «è necessario costruire una cultura nuova per cui sanzionare qualcuno con il carcere non significhi farlo sentire espulso dalla società», bensì rieducarlo e reintegrarlo nel tessuto sociale, in ossequio a quanto prevede la nostra Costituzione all’art. 27 secondo cui le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato».

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