La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 98 del 2021, depositata in data 17 maggio 2021, ha dichiarato nuovamente l’importanza del principio di legalità e del divieto di analogia in materia penale rispetto al rapporto tra due diverse fattispecie di reato: gli atti persecutori e i maltrattamenti in famiglia.

La Corte ha ritenuto inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torre Annunziata che si stava occupando di un imputato accusato di “stalking” (ossia di atti persecutori) per una serie di condotte vessatorie ai danni di una donna con cui aveva da qualche mese una relazione affettiva.

Il giudice, nel corso del procedimento, aveva prospettato alle parti la possibilità di riqualificare il fatto nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia e, sul punto, è stata posta la questione.

La Corte, nel motivare la propria decisione, ha evidenziato che il reato di maltrattamenti in famiglia richiede che le condotte vessatorie e maltrattanti siano dirette contro una persona della stessa «famiglia», oppure di una persona «convivente», mentre il reato di atti persecutori aggravati prevede che le condotte vengano tenute contro una persona che sia o sia stata legata all’autore da una «relazione affettiva».

La Consulta ha dunque ricordato a tutti il fondamentale canone interpretativo in materia penale, basato sull’art. 25 co. 2 Cost., rappresentato dal divieto di applicare la legge oltre i casi da essa espressamente stabiliti. Questo divieto preclude di riferire la norma a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei significati letterali delle parole impiegate dal legislatore.

Pertanto, la Corte ha precisato che l’applicazione del reato di maltrattamenti in famiglia anziché di quello di atti persecutori rappresenterebbe non solo un errore ma una interpretazione analogica della norma penale a sfavore dell’imputato.

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