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La Cassazione, in una recentissima pronuncia in tema di rapporto tra nonni e nipoti, ha mostrato, ancora una volta, di porre al centro della sua decisione il cosiddetto best interest of child, vale a dire il preminente interesse del minore.

Con questa espressione, formalizzata per la prima volta, nell’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989, si fa riferimento a quel principio giuridico che consente al giudice, nelle decisioni che riguardano i minori, di valutare le caratteristiche specifiche della situazione sottoposta al suo vaglio, al fine di adottare la soluzione più idonea che persegua la realizzazione del preminente interesse del minore.

Ebbene, proprio sulla base di tale prinicipio, i giudici della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 2881/2023 hanno affermato che non è possibile costringere i minori a frequentare i propri nonni, se i primi manifestano contrarietà o insofferenza a tale relazione.

La Cassazione, decidendo in questo modo, ha dunque asserito che le modalità con cui riconoscere il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i propri nipoti devono essere risolte alla luce del primario interesse del minore interessato.

Tale interesse, infatti, costituisce l’aspetto prevalente su tutti gli altri, quindi anche su quello inerente al volere degli altri familiari.

Pertanto, se è fuor di dubbio che il minore abbia un rilevante interesse a mantenere attive le relazioni affettive valide «con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine», queste relazioni non possono ritenersi imposte in ogni caso.

In questo senso, l’art. 317 bis c.c., che riconosce agli ascendenti il diritto a mantenere relazioni significative con i propri nipoti minorenni, non attribuisce ai primi un diritto incondizionato ma ne subordina l’esercizio alla valutazione del giudice.

Tale valutazione avrà come fulcro proprio l’esclusivo interesse del minore, ovvero la possibilità da parte dei nonni di contribuire, con i genitori – ed in linea con il modello educativo da loro indicato –, alla realizzazione di un progetto formativo ed educativo volto ad assicurare al minore un sano ed equilibrato sviluppo della sua personalità.

Ne consegue che, qualora i minori non abbiano un “tornaconto” in termini affettivi ed educativi dalla relazione con i propri nonni, come accadeva nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici, nessun provvedimento giudiziario può costringerli a frequentarli sulla base della sola considerazione che non ne trarrebbero comunque «un pregiudizio».

Non ci può̀ essere, dunque, alcuna «imposizione “manu militari” di una relazione sgradita e non voluta», soprattutto se si tratta di minori capaci di discernimento e di età superiore ai 12 anni.

Semmai – ed è questo l’auspicio della Corte – occorre valutare la possibilità di individuare strumenti capaci di creare la necessaria spontaneità, cosicché la relazione nonno-nipotenel rispetto delle volontà degli esercenti la responsabilità genitoriale – possa essere davvero autentica, coerente e rispettosa dell’evoluzione armonica della personalità del minore.

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