Al 31 marzo 2022 erano 2.276 le donne recluse negli istituti penitenziari italiani, pari al 4,2% della popolazione detenuta totale. Questo dato è rimasto pressoché costante negli ultimi due decenni.

Un quarto delle detenute (nello specifico, 576 donne) è accolto all’interno delle quattro carceri esclusivamente femminili presenti sul territorio italiano. Nello specifico, nelle due Case Circondariali di Roma Rebibbia e Pozzuoli vi sono rispettivamente 321 e 146 detenute, mentre nelle Case di Reclusione di Venezia e Trani sono 64 e 45. L’istituto a custodia attenuata (Icam) per madri detenute di Lauro accoglie 8 donne recluse insieme ai propri figli minori di tre anni di età. I restanti tre quarti delle donne detenute sono distribuiti nelle 46 sezioni femminili presenti all’interno di penitenziari maschili.

Questo ultimo dato è indicativo di un sistema carcerario pensato per una popolazione prevalentemente maschile e come tale idoneo a creare discriminazioni, marginalizzazione e carenze nei confronti delle detenute donne. Oltre ad evidenti carenze di servizi creati ad hoc per le donne, mancano anche risorse per consentire alle detenute di accedere ad attività ricreative e sportive. Inoltre, per quanto riguarda i servizi sanitari e igienici, dei 24 istituti con donne detenute visitati da Antigone nel 2021 solo il 62,5% disponeva di un servizio di ginecologia e il 21,7% di un servizio di ostetricia. Soltanto nel 58,3% degli istituti visitati le celle sono dotate di bidet, come richiesto dal regolamento di esecuzione da più di vent’anni.

Per evitare l’eccessiva marginalizzazione delle donne detenute, la riforma dell’ordinamento penitenziario, entrata in vigore qualche anno fa (d.l.vo 2 ottobre 2018, n. 123), prevede che le donne ospitate in apposite sezioni all’interno di istituti maschili debbano essere «un numero tale da non compromettere le attività trattamentali». Tuttavia, vi sono diversi istituti in cui le donne rappresentano solo una minima percentuale, come la Casa di Reclusione di Paliano dove su 70 detenuti presenti solo 3 sono donne e la Casa Circondariale di Mantova dove vi sono 5 donne su 130 detenuti.

Uno dei rimedi proposti per risolvere tale situazione di marginalizzazione e di “ozio forzato” è favorire l’organizzazione di attività comuni tra uomini e donne nei penitenziari a maggioranza maschile. Dai dati raccolti da Antigone nel corso dell’anno, emerge però come solo nel 4,3% degli istituti visitati con sezioni femminili siano previste occasioni di incontro tra detenute e detenuti.

Ne consegue un riflessione: se lo Stato non è in grado di garantire alle donne una detenzione dignitosa e compatibile con i principi costituzionali, allora è evidente come vi sia la necessità di puntare sull’esecuzione della pena all’esterno del carcere per mezzo di misure alternative alla detenzione. Sarebbe di gran lunga più efficace reintrodurre le donne nella società rafforzando il loro ruolo in famiglia e rendendole consapevoli del reato, così da ridurre sia il contatto con un ambiente criminogeno come il carcere sia il rischio di recidiva.

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