Questa è un’epoca senza precedenti. Ma siamo stati all’altezza della sfida?

Nel 2020 la pandemia da Covid-19 si è insinuata in società afflitte da disuguaglianza e discriminazione, allargando solchi e divisioni già esistenti e approfittando di politiche di sanità pubblica colpevolmente inadeguate.

La risposta di molti governi non è stata all’altezza della sfida posta dall’emergenza globale e non pochi di loro ne hanno approfittato per introdurre nuove leggi repressive.

Oltre a quelle causate dalla pandemia, le violazioni dei diritti umani hanno colpito popolazioni civili nei conflitti, minoranze etniche, donne, dissidenti.

Anche quest’anno Amnesty International Italia ha pubblicato il Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo (2020-2021), contenente cinque panoramiche regionali e schede di approfondimento su 149 paesi.

Da tale rapporto si evince che il numero di persone decedute nel 2020 per Covid-19 ha superato nel mondo gli 1,8 milioni. I sistemi sanitari e i programmi di tutela sociale, indeboliti da decenni di sottofinanziamenti e da mancanza di preparazione, si sono trovati mal equipaggiati per reagire alla situazione.

I redditi dei lavoratori sono stati colpiti dalla crescente disoccupazione e dai periodi d’inattività, mentre il numero delle persone che versavano in una situazione d’insicurezza alimentare è raddoppiato, arrivando a 270 milioni.

Alcune misure adottate dai governi per contrastare il Covid-19 hanno avuto un impatto discriminatorio sui gruppi marginalizzati. Le misure di lockdown e coprifuoco hanno implicato per un altissimo numero di lavoratori dell’economia informale la perdita della fonte di reddito, senza avere adeguati strumenti di tutela sociale.

Un’altra delle misure, ovvero l’introduzione della didattica a distanza come unica modalità d’istruzione senza garantire l’accesso a tecnologie adeguate, ha penalizzato molti alunni appartenenti alle fasce più svantaggiate.

Inoltre, il Covid-19 ha aggravato la già precaria situazione di rifugiati e migranti, in alcuni casi intrappolandoli in campi o strutture di detenzione dalle condizioni squallide e in altri lasciandoli in totale stato di abbandono in seguito alla chiusura delle frontiere.

In molti paesi, le minoranze etniche e le popolazioni native hanno registrato percentuali sproporzionalmente elevate di contagi e decessi, dovute in parte a disuguaglianze preesistenti e al mancato accesso all’assistenza sanitaria.

In tema di violenza di genere, Kuwait, Corea del Sud e Sudan si sono dotati di nuovi strumenti legislativi per contrastare la violenza contro donne e ragazze. Paesi come Croazia, Danimarca, Paesi Bassi e Spagna hanno adottato misure per migliorare le leggi sullo stupro e basarle sul concetto di consenso. In diversi paesi africani ci sono stati sviluppi legislativi senza precedenti, che miravano a porre fine all’impunità per stupro e altre forme di violenza sessuale, in tempo di pace e di guerra.

Nella realtà, però, gli episodi di violenza di genere, compresi i cosiddetti delitti “d’onore” e basati sulla casta, di violenza domestica e sessuale hanno continuato ad avere un’incidenza drammaticamente elevata in tutto il mondo e le autorità si sono dimostrate generalmente incapaci d’intervenire adeguatamente per prevenirli, perseguirne i perpetratori e garantire l’accesso delle vittime a forme di rimedio legale.

Tempi senza precedenti obbligano a dar risposte senza precedenti e richiedono leadership fuori dal comune.

I leader mondiali hanno l’opportunità di plasmare un futuro post-pandemia più giusto, se metteranno i diritti umani alla base delle misure per la ripresa e la cooperazione internazionale.

La domanda a cui rimane da rispondere è la seguente: saremo abbastanza audaci da capire ciò che deve essere fatto e abbastanza coraggiosi da andare avanti e farlo, su larga scala e ritmo serrato?

 

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