Secondo il comunicato del 16 giugno 2021 dell’Associazione Luca Coscioni (ALC) è la prima volta che in Italia un tribunale impone ad una struttura del SSN di verificare le condizioni di accesso al suicidio assistito in merito ad un proprio paziente.
Infatti, da quel che risulta, il 28 agosto 2020 un uomo marchigiano di 43 anni e che da 10 anni soffre irreversibilmente di tetraplegia e altre gravi patologie, ha chiesto alla Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) Marche di verificare la sussistenza delle sue condizioni di salute alla luce della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale al fine di poter accedere al suicidio assistito, ma ha ottenuto, come risposta, il diniego da parte della struttura pubblica.
Allora, con l’assistenza dei legali dell’ACL, l’uomo ha proposto ricorso al tribunale competente per territorio.
I giudici di Ancona, dopo una prima conferma del diniego espresso, hanno rivisto la loro posizione e con ordinanza collegiale del 9 giugno scorso hanno ordinato alla struttura pubblica – nel caso di specie la ASUR Marche – di effettuare gli accertamenti necessari, con il coinvolgimento del Comitato etico, per verificare «se le modalità, la metodica e il farmaco prescelti […] ovvero l’assunzione di Tiopentone sodico nella quantità di 20 g, sia la più adeguata al caso di specie e sia rispettosa della dignità umana».
I giudici anconetani hanno ritenuto che la Corte costituzionale non abbia affermato un diritto del paziente «ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza», ma un diritto a vedere accertate alcune condizioni soggettive.
Infatti, il ricorrente non ha preteso un comportamento attivo della ASUR finalizzato all’eutanasia, bensì il solo avvio da parte della struttura pubblica della procedura di accertamento dei presupposti indicati dalla stessa Corte affinché l’aiuto al suicidio non sia ritenuto penalmente rilevante ai sensi dell’art. 580 c.p., ossia, che il proposito di suicidio si sia autonomamente e liberamente formato, che la persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e che sia affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma che sia al contempo pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Il fine vita è un tema che coinvolge questioni etiche, filosofiche e giuridiche.
Molte associazioni si stanno mobilitando per portare all’attenzione del Parlamento progetti di legge su questa questione, tanto delicata, quanto bisognosa di una regolamentazione.
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