Di recente è rimbalzata, sulle maggiori testate giornalistiche, la notizia di inchieste condotte dal Wall Street Journal (WSJ) su alcuni dei dati di ricerche interne a Facebook che rivelerebbero ripercussioni psicologiche sugli adolescenti (solitudine, ansia, tristezza, inadeguatezza, problemi alimentari) derivanti dall’uso di Instagram.

L’inchiesta del WSJ prende le mosse dalle rivelazioni della whistleblower Frances Haugen, ex manager di Facebook, che con ha consegnato i risultati dello studio “segreto” condotto dal colosso dei social al Congresso americano.

Ora l’attenzione politica su questi aspetti è alta.

La Sottocommissione per la protezione dei consumatori del Senato degli Stati Uniti ha ascoltato nei giorni scorsi sia Antigone Davis, responsabile della sicurezza globale di Facebook, sia la stessa Haugen.

Oltre ai dati sull’uso di Instagram, il WSJ aveva realizzato un lavoro ben strutturato sul programma “XCheck”, con cui gli utenti più famosi avrebbero potuto fruire di regole per la moderazione più blande, e su un algoritmo di Facebook che favorirebbe i contenuti più divisivi.

Anche i dati di quest’ultima indagine sono allarmanti.

Infatti, consatare – ancora una volta – che esiste un mondo sommerso, poco trasparente, fatto di algoritmi e ingegni tecnologici in grado di istruire i social sulle notizie da privilegiare e in grado di stimolare l’engagement degli utenti, lascia sbigottiti e genera un senso di frustrazione.

La questione riguarda tutti, soprattutto i soggetti più fragili: più del 40% degli utenti di Instagram ha meno di 22 anni e, solo negli Stati Uniti, sono circa 22 milioni gli adolescenti che accedono ogni giorno a Instagram e 5 milioni quelli che accedono a Facebook.

L’etica e la sostenibilità dei social sono, oggi, una scelta nelle mani degli stessi colossi che li gestiscono.

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