La Corte di Cassazione ha emesso un’importante ordinanza (9691/2022 N.Racc.Gen.; 286/2022 N. Sezionale, data di pubblicazione 24/03/2022) in tema di sindrome da alienazione parentale, una condizione psicologica che riguarda i minori che hanno rifiutato uno dei due genitori a causa dell’incitamento intenzionale portato avanti dall’altro.

La Cassazione, con questa pronuncia, ha accolto in ogni sua parte il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva fatto decadere dalla responsabilità genitoriale la Signora M., una donna vittima di violenza da parte dell’ex compagno, accusata di aver causato nel proprio figlio la suddetta sindrome. La Corte d’Appello aveva anche disposto l’allontanamento del bambino e l’interruzione dei rapporti tra madre e figlio.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della donna e delle sue legali (facenti parte dell’Associazione Differenza Donna), ha annullato la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale e il trasferimento del bambino in casa-famiglia stabiliti in precedenza dalla Corte di Appello, sulla base di tre principi:

1) l’illegittimità dell’alienazione parentale

2) la superiorità dell’interesse dei bambini rispetto al diritto alla bigenitorialità

3) la condanna dell’uso della forza nei confronti dei minori.

Per essere chiari, la sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS) venne introdotta per la prima volta, a livello concettuale, negli anni Ottanta del Novecento da parte dello psichiatra forense Richard Gardner che la descrisse come una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori.

Secondo Gardner, questa sindrome sarebbe il risultato di una “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che li porterebbe a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). In altre parole, la PAS sarebbe un incitamento ad allontanarsi da uno dei due genitori, portato avanti intenzionalmente dall’altro genitore attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse e costruzioni di realtà virtuali familiari.

Per Gardner, affinché si possa parlare di PAS è necessario che questi sentimenti di astio e di rifiuto non nascano da dati reali e oggettivi che riguardano il genitore alienato, ma dalla mera rappresentazione dell’alienante.

Nel caso di specie, la Corte ha ribadito che «il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre».

I giudici hanno stabilito che non può essere garantita la bigenitorialità a tutti i costi, ma va tenuto conto innanzitutto dell’interesse del bambino.

Infine, si sono espressi anche sull’uso della forza fisica usata per sottrarre il minore dal luogo dove risiedeva con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, ritenendo quella misura «non conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall’età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento».

Come ha spiegato una delle legali della donna, la Corte ha contestato il mancato ascolto del ragazzino e «ha messo un punto alle prassi che rasentano il trattamento inumano e degradante di allontanamento dei bambini e delle bambine dalle madri con la forza pubblica, dichiarando che ogni forma di coercizione sui minori è fuori dallo Stato di diritto».

Tale pronuncia della Corte di Cassazione costituisce quindi un atto giurisprudenziale estremamente importante a cui bisognerà fare riferimento per successive cause analoghe, in quanto stabilisce chiaramente che un/a figlio/a ha diritto ad avere rapporti affettivi e di frequentazione con entrambi i genitori, salvo che vi siano accertate e conclamate situazioni di grave pregiudizio per il/la minore.

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