Quale tipo di sfida rappresenti la pandemia per il welfare italiano sembra essere la domanda di fondo che ha guidato la stesura del Quinto Rapporto sul Secondo welfare dal titolo “Il ritorno dello stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia”, presentato il 27 gennaio 2022 dal Laboratorio di Ricerca “Percorsi di secondo welfare” del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano.

Scopo del Rapporto appare quello di indagare se l’emergenza sanitaria si sia trasformata in una crisi profonda destinata ad aggravare le criticità del primo welfare (quello statale), ad accrescere ulteriormente le disuguaglianze sociali ed economiche, oppure possa essere interpretata come un’opportunità per ridefinire i rapporti di assistenza e solidarietà sociale.

La pandemia ha (ri)messo in luce le note fragilità del sistema di protezione sociale italiano, mostrandone ed esacerbandone le distorsioni distributive e funzionali.

Dal Rapporto emerge un’immagine “malata” del welfare-state italiano fortemente sbilanciato nella sua articolazione interna malgrado le ingenti dotazioni finanziarie ad esso destinate.

Le prestazioni previdenziali assorbono il 58,3% della spesa pubblica12 punti in più rispetto alla media della UE pari al 46,1% – mentre tutte le altre voci risultano essere sottofinanziate rispetto agli altri Paesi.

Alla soglia della pandemia, nel 2019, la spesa pubblica per il settore sanitario nel nostro Paese era pari al 23%, quasi sette punti percentuali in meno rispetto alla media europea, ponendosi in linea di continuità con la diminuzione dell’ultimo decennio (2010-2020) nel corso del quale la spesa sanitaria pubblica italiana è sempre calata (differentemente dal resto d’Europa dove la spesa si è stabilizzata).

All’opposto, è aumentata la spesa sanitaria out of pocket, ossia quella privata, generando degli effetti distorsivi sulla distribuzione del reddito e andando di fatto a peggiorare lo status economico delle famiglie con redditi (più) bassi, disincentivandone il ricorso alle cure.

Altri settori emblematici nei quali la spesa pubblica sociale italiana risulta essere sottofinanziata sono quelli relativi alla famiglia e alla infanzia.

La spesa per questi settori assorbe infatti “solo” il 3,9% della spesa pubblica italiana, contro la media dell’UE pari all’8,6%. Alcuni indicatori della marginalità delle politiche per la famiglia e l’infanzia in Italia sono, ad esempio, la scarsa possibilità di usufruire di servizi destinati ai bambini di età inferiore ai tre anni, oppure, la distribuzione anagrafica della povertà, che decresce all’aumentare dell’età, a riprova di come il nostro sistema sociale di protezione investa poco sul futuro (quindi sulle persone più giovani) e molto sulle persone anziane.

Non è dunque un caso che oggi, in Italia, il rischio povertà sia in proporzione più elevato:

  1. per i nuclei familiari con figli minori;
  2. per i giovani e per gli stranieri.

Sotto la pressione della pandemia, sembra essere cresciuto il cosiddetto “secondo welfare”.

Con tale termine, gli Autori del Rapporto intendono indicare un complesso e variegato sistema di interventi e misure sostenute da risorse private ed accorpabili in tre macro aree: quella aziendale, intesa come l’insieme di misure economiche e servizi forniti ai propri dipendenti dalle aziende e dai datori di lavoro; quella filantropica, quale complesso di iniziative provenienti da enti filantropici rivolte al sostegno di realtà, istituzioni e organizzazioni; quella di prossimità vale a dire tutte le iniziative orientate al benessere delle comunità locali.

Durante la pandemia, è stato proprio questo secondo welfare a sopperire, in parte, alle disfunzionalità del sistema statale di protezione sociale, contribuendo a rispondere ad alcuni dei bisogni emersi da parte dei singoli individui, delle famiglie, delle organizzazioni e delle imprese.

Anche le realtà territoriali si sono mobilitate in tal senso, cercando di supplire alle carenze provenienti “dal centro”, grazie alle collaborazioni con il Terzo Settore e con la società civile, riuscendo spesso a rispondere all’emergenza.

Questo ha condotto a riposizionare i confini del welfare tra pubblico e privato, da una parte, e nazionale-locale dall’altra.

Alla luce di queste considerazioni, appare inevitabile domandarsi quali scenari si apriranno in futuro per il welfare italiano.

I mutamenti apportati dal “secondo welfare” sono destinati a permanere anche oltre l’emergenza?

Come saranno ridefiniti i rapporti tra pubblico-privato e tra centro-periferia nell’ambito delle politiche sociali della post pandemia?

Valgono ancora le categorie della solidarietà, dell’inclusione sociale e della parità nell’accesso ai servizi? 

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