In svedese si definisce “UPPGIVEHETSSYNDROM”, ma non è il nome né di una meta turistica né di un piatto tipico.

La traduzione italiana è “SINDROME DELLA RASSEGNAZIONE”. Si tratta di una condizione patologica che ha colpito in Svezia centinaia di bambini migranti dalla Siria, dai Balcani e dall’ex URSS richiedenti asilo e gravemente traumatizzati.

Si tratta di bambini tra gli 8 e i 15 anni i quali cadono in una condizione di profondo torpore, dormendo per mesi o per anni. Diventano incapaci di rispondere a qualsiasi stimolo esterno e devono essere nutriti con un sondino. La loro è una reazione estrema di protezione dall’ansia e dal dolore.

Questi minori non solo sono stati testimoni di terribili violenze nei loro Paesi d’origine, ma una volta migrati continuano a portare con sé un bagaglio di ansie e paure dovute all’abbandono della loro terra e al frequente rifiuto della domanda d’asilo delle loro famiglie, con il rischio di dover tornare indietro.

Questi bambini non fingono.

Al contrario, il ritiro dal mondo, il rifiuto di ogni contatto esterno, rappresenta inconsciamente l’unica via di fuga per sfuggire da una situazione psicologica insostenibile.

La sindrome è stata inclusa già nel 2014 nella versione svedese dell’ICD-10 come correlata ad un disturbo da Stress Post-Traumatico e/o depressivo, presentando alcuni criteri della catatonia.

Il fenomeno non è tuttavia del tutto nuovo.

Già in passato si sono verificati eventi simili, sia nei campi di concentramento nazisti da parte di alcuni internati, sia negli anni Ottanta, negli Stati Uniti, tra gli adolescenti rifugiati laotiani, i quali passarono lunghi periodi in catalessia per poi morire.

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Per saperne di più sul tema e per visionare il documentario “Sopraffatti dalla vita – Life overtakes me”, distribuito da Netflix, nonché l’articolo di Rachel Aviv pubblicato sul New Yorker, clicca qui.