(Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay)

 

Il 30 dicembre 2022 è entrata in vigore la Riforma Cartabia del processo penale, per la quale, se manca la querela delle vittime, la conseguenza naturale della misura è la scarcerazione per l’indagato (o gli indagati) per alcuni reati, come lesioni, furti e sequestri di persona non a scopo di estorsione.

È quello che ha dovuto fare la Procura di Palermo, costretta a chiedere l’inefficacia della misura cautelare per tre boss, imputati di lesioni aggravate dal metodo mafioso. Le vittime, interpellate dal giudice come prevede la norma, si sono rifiutate di querelare i capimafia. Ai PM non è rimasto che chiedere la revoca della misura.

Come fa sapere l’Ansa, la vicenda riguarda i boss del clan Pagliarelli Giuseppe Calvaruso, reggente del mandamento, Giovanni Calvaruso e Silvestre Maniscalco che, oltre ai reati di associazione mafiosa ed estorsione, rispondevano in questo procedimento, a vario titolo, di sequestro di persona e lesioni aggravate dal metodo mafioso.

Per entrambe le ipotesi di reato la Riforma Cartabia prevede la querela come condizione per procedere.

I tre mafiosi sono stati arrestati prima dell’entrata in vigore della legge, per cui in questo caso prevale il regime transitorio che impone al giudice di verificare la volontà querelatoria delle persone offese. Qualora le vittime non vogliano procedere con la querela, la misura cautelare è inefficace.

Secondo quanto emerso dalle indagini, a seguito delle quali i tre furono arrestati, gli indagati sarebbero responsabili del sequestro e del pestaggio di due persone ritenute dalla cosca responsabili di una rapina non autorizzata da “Cosa nostra”Interpellate sulla volontà di querelare i tre mafiosi, le vittime si sono rifiutate.

I tre boss resteranno comunque in carcere perché destinatari di altre misure cautelari, ma la questione allarma i magistrati perché il caso si può riproporre.

In particolare, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, invoca a gran voce un ripensamento della misura, poiché secondo lui, quando si è in presenza dell’aggravante mafiosa «anche il reato che, in astratto, può sembrare di non particolare gravità, assume una fisionomia incompatibile con l’affidamento alle singole persone offese della possibilità di perseguirlo in concreto, secondo logiche di deflazione del carico giudiziario che sono accettabili soltanto in riferimento a reati autenticamente bagatellari». E spiega: «La nostra proposta stabilisce che nei casi in cui ricorrano le circostanze aggravanti della finalità terroristica e del metodo mafioso, il delitto sia sempre procedibile d’ufficio».

Una delle più importanti linee di intervento della riforma del sistema penale, realizzata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è, infatti, rappresentata da una significativa estensione del regime di procedibilità a querela, in rapporto a centrali figure di reato contro la persona e contro il patrimonio.

In un sistema improntato al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, valorizzare la procedibilità a querela, riducendo in modo corrispondente l’area della procedibilità d’ufficio, rappresenta l’espressione di una chiara strategia politico criminale e di una altrettanto chiara finalità: essere in linea con gli obiettivi del P.N.R.R. (tra cui, efficientare il sistema e ridurre del 25% i tempi medi del processo penale entro il 2026).

La permanenza o meno dell’illecito nella sfera del processo penale viene a dipendere, dunque, da una manifestazione di volontà della persona offesa, che si mostri tempestivamente ed effettivamente interessata all’accertamento di fatti e responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria.

Estendendo il regime di procedibilità a querela si realizza un temperamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, senza metterlo in discussione nei suoi fondamenti costituzionali; un temperamento che, nel nostro ordinamento, è senz’altro ragionevole in relazione a reati che offendono interessi individuali, di natura privatistica.

Ma tali modifiche comportano anche seri rischi. Rendere perseguibili solo a seguito di querela della vittima reati come lesioni personali, violenza privata, minaccia, sequestro di persona determina il rischio di estendere il campo dell’impunità. Quel che più si sottovaluta è che quei reati sono consumati non solo da esponenti della criminalità comune, ma anche da appartenenti alle mafie che si avvalgono della forza dell’intimidazione per commettere delitti e imporre il silenzio delle vittime.

Prevedere la procedibilità solo a seguito della querela anche in questi casi equivale, dunque, ad un ritiro unilaterale dello stato dalla prima linea del contrasto alle mafie. È una scelta che rischia di determinare una sovraesposizione personale delle vittime tale da indurre la maggior parte di esse a non presentare querela per non divenire bersaglio di gravi ritorsioni personali.

«L’allarme sociale e il colpo al principio di legalità sono troppo grandi», spiega Roberto Scarpinato, senatore del Movimento 5 Stelle ed ex magistrato antimafia della Procura di Palermo. Ecco perché l’Associazione nazionale magistrati ha lanciato un appello al governo, chiedendo che si proceda ad un ripensamento, in tempi rapidi, delle scelte del legislatore.

____________

Per accedere al testo completo del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 clicca qui.

Se ti interessano i nostri temi, continua a seguirci anche sulle nostre pagine social.