(Foto di robinsonk26 da Pixabay)

Alcuni lettori forse ricorderanno l’eccellente lavoro condotto dalla Commissione d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino che, nel 2011, visitò quello che rimaneva uno dei luoghi tra i più aberranti del nostro Paese: i c.d. ospedali psichiatrici giudiziari (OPG).

Dai lavori svolti dalla Commissione ne derivò una Relazione e un documentario che portarono alla luce le degradanti condizioni in cui si trovavano a vivere quegli individui autori di reato, i quali, a causa della loro infermità mentale, venivano inseriti negli OPG, luoghi nei quali, a ragione delle loro condizioni di salute, avrebbero dovuto essere curati anziché puniti.

La Commissione rilevò un assetto strutturale e condizioni igienico-sanitarie gravi ed inaccettabili in tutti gli OPG, assistenza socio-sanitaria carente e un sistema di contenzioni fisiche ed ambientali che lasciavano intravedere pratiche cliniche lesive della dignità della persona.

Dal dibattito politico che ne seguì nacquero, con la legge 17 febbraio 2012 n. 9, le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). Tali strutture, da applicarsi quali misura di sicurezza residuali, dovrebbero avere come unica funzione la gestione medico-sanitaria degli autori di reato giudicati infermi o semi-infermi di mente e socialmente pericolosi, dunque non adatti a misure meno restrittive.

La logica che sta alla base delle REMS è, infatti, quella riabilitativa e curativa, tanto che gli operatori che vi devono operare sono sanitari e non personale di polizia penitenziaria. Tali strutture hanno anche il merito di mettere fine al cd. ergastolo bianco: se negli OPG, infatti, non era previsto un termine massimo di durata della misura di sicurezza detentiva, nelle REMS la durata non può essere superiore al massimo edittale della pena prevista per il reato.

Tuttavia, come spesso accade, il dettato legislativo rischia di rimanere lettera morta, ovvero non effettivo

La Società Italiana di Psichiatria (SIP), in un recente studio pubblicato sul “Journal of Psychopathology” e discusso in questi giorni in occasione del suo 49° Congresso Nazionale, ha denunciato pubblicamente il fatto che tali strutture, oltre che poco efficaci sul piano della cura, si stanno riempiendo di individui diversi dalle persone a cui esse sono sostanzialmente destinate. Secondo la SIP, infatti, la magistratura tende ad utilizzare le 31 REMS presenti sul territorio italiano come “parcheggio” di a) indagati sottoposti a misure di detenzione provvisoria, la cui infermità di mente non è stata ancora accertata, di b) detenuti con problemi psichiatrici sviluppati in carcere o, spesso, di c) persone ristrette non affette da nessuna patologia mentale conclamata. Si tratta, ad esempio, di detenuti assegnati a queste strutture sanitarie per problemi di personalità antisociale, dipendenza da sostanze stupefacenti o per marginalità sociale, i quali, in verità, dovrebbero essere presi in cura da servizi sanitari o sociali del territorio.

Le REMS, spiegano Enrico Zanalda e Massimo di Giannantonio, coautori dello studio e co-presidenti SIP, stanno diventando in questo modo:

il contenitore di tutto ciò che il carcere non vuole, su cui si allunga l’ombra sinistra di un ritorno al passato.

Così agendo, aggiungono gli Autori, vengono sottratti “posti letto” a coloro che, al contrario, hanno un’infermità mentale clinicamente riconosciuta, creando così infinite liste d’attesa.

Di conseguenza:

Dall’orrore dei manicomi si è passati ad un’eccellenza italiana unica al mondo che rischia invece di affondare non per i suoi demeriti ma per le questioni irrisolte della giustizia e della burocrazia italiana.

Per risolvere queste criticità – concludono i coautori dello studio – non servono più strutture e più posti disponibili, come invocato dalla magistratura italiana, ma un più corretto utilizzo delle REMS esistenti, una corretta assegnazione delle persone e una serie di correzioni del nostro sistema penale, oltre che ingenti investimenti nei Dipartimenti di Salute Mentale per i pazienti da prendere in carico prima o dopo il collocamento in tali tipi di strutture.

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Per leggere lo studio citato, clicca al seguente link.

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