Con la sentenza Sy c. Italia del 24 gennaio 2022, la CEDU ha condannato l’Italia per la violazione degli art. 3, 5 § 1 e 5, 6 § 1 e 34 CEDU, per non aver eseguito il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza che applicava la misura di sicurezza del ricovero presso una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) a un paziente psichiatrico condannato in via definitiva, costretto, perciò, a restare detenuto presso una Casa Circondariale.

Con la sentenza del 27 gennaio 2022, n. 22, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità degli artt. 206 e 222 c.p. e dell’art. 3-ter d.l. 211/2011 – sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 32 e 110 Cost. –, cogliendo, però, l’occasione per indirizzare un monito al legislatore affinché provveda a una riforma del sistema delle REMS che oggi «presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali», dalla tutela della salute al fine rieducativo della pena, fino al principio di legalità.

Nel corso del giudizio costituzionale è stata disposta, altresì, un’istruttoria che ha fatto emergere alcuni dati allarmanti: sono tra 670 e 750 le persone in lista per l’assegnazione ad una REMS; i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi; molte di queste persone – ritenute socialmente pericolose dal giudice – hanno commesso gravi reati gravi e attendono di essere ricoverate (Comunicato della Corte costituzionale del 24 giugno 2021). Dati, quelli testé citati, che non fanno altro che fornire la conferma di una tendenza già evidenziata nella Relazione del 2021 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ove risultava che le persone destinatarie di provvedimenti di applicazione della misura di sicurezza detentiva in attesa di ricovero in una REMS erano 770, alcune delle quali (65) erano anche illegittimamente detenute in strutture penitenziarie.

 

Sono dati connotativi che ritengo molto problematici – ha ammonito il Garante dei detenuti nella Relazione 2021 – perché indicano il rischio del ritorno a una cultura segregativa che riemerge a volte anche in talune strutture “ambigue” di accoglienza di persone con disagio mentale in libertà vigilata.

 

Ebbene, il percorso assegnato al legislatore dovrà seguire due direttrici:

1) immaginare modelli integrati con i servizi territoriali, affinché le carceri non diventino luoghi di cura e presa in carico di patologie psichiatriche;
2) le REMS devono restare, necessariamente, luoghi di “passaggio” per accogliere pazienti psichiatrici sottoposti a pena.

Già lo scorso 12 settembre 2019, gli Uffici giudiziari del distretto della Corte d’appello di Milano avevano sottoscritto con Enti, Consigli dell’ordine forense, Camere penali etc., un protocollo operativo in tema di misure di sicurezza psichiatriche che prevedeva, fra l’altro, che il perito/consulente suggerisse la tipologia di una struttura idonea ove collocare la persona.

Il protocollo, per quanto lodevole ed ambizioso, ha faticato a decollare proprio per le carenze organizzative che affliggono le REMS e per la mancanza di risorse sufficienti.

Una proposta di legge (la n. 2939 dell’11 marzo 2021) è già stata depositata presso la Camera dei Deputati: vedremo, dopo il dibattito parlamentare, che sorti avrà.

 

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