Così titola il comunicato stampa rilasciato dall’Ufficio della Corte costituzionale che con la sentenza 22/2022 ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità degli artt. 206 e 222 c.p. e dell’art. 3-ter d.l. 211/2011 – sollevate dal Gip di Tivoli in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 32, e 110 Cost. – cogliendo, però, l’occasione per indirizzare un monito al legislatore affinché provveda a una riforma organica del sistema delle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) che oggi «presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali», dalla tutela della salute al fine rieducativo della pena, fino al principio di legalità.
Il giudizio ha rappresentato l’occasione per fare maggiore chiarezza sul mondo delle REMS: i giudici costituzionali, infatti, hanno disposto un’istruttoria nel corso del giudizio che ha fatto emergere dati allarmanti sulla situazione delle REMS. La fotografia scattata dalle varie agenzie interpellate dalla Corte mostra dati allarmanti: sono tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per l’assegnazione ad una struttura; i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi, ma anche molto più lunghi in alcune regioni; infine, molte di queste persone – ritenute socialmente pericolose dal giudice – hanno commesso gravi reati, anche violenti (Comunicato della Corte costituzionale del 24 giugno 2021).
Dati che non fanno altro che restituire una situazione già evidenziata nella Relazione del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, presentata al Parlamento lo scorso 2021, ove risultava che le persone destinatarie di provvedimenti di applicazione della misura di sicurezza detentiva in attesa di ricovero in una REMS erano 770, 65 delle quali erano illegittimamente detenute in strutture penitenziarie. A causa della carenza di risorse, poi, dei 340 ospiti in REMS con posizione giuridica definitiva, solo il 43% può godere di un progetto terapeutico riabilitativo individuale.
Il percorso che la Corte costituzionale ha assegnato al legislatore, da un lato, guarda a modelli integrati con i servizi territoriali, sì da contenere il più possibile la necessità di ricorrere ai provvedimenti custodiali delle REMS; dall’altro, a iniziative dirette alla definizione di standard condivisi nella scelta della misura più appropriata in relazione alla situazione clinica e alla pericolosità sociale dell’interessato; dall’altro, ancora, alla realizzazione di nuove REMS, laddove se ne evidenzi l’imprescindibilità per far fronte a una domanda che si rivelasse non ulteriormente riducibile.
A riprova, forse, delle disfunzioni che attualmente denotato il sistema delle REMS, vi sono i numerosi accordi/protocolli che si stanno diffondendo e di cui abbiamo già parlato. Ad esempio, il 12 settembre 2019, gli Uffici giudiziari del distretto della Corte d’appello di Milano avevano sottoscritto, insieme con enti, operatori, Consigli dell’ordine forense, Camere penali, un protocollo operativo in tema di misure di sicurezza psichiatriche che prevedeva, fra l’altro, che il perito/consulente suggerisse la tipologia di struttura idonea. Il protocollo, per quanto ambizioso, ha faticato a decollare proprio per le carenze organizzative che affliggono le REMS e che spesso rendono impossibile reperire una struttura disponibile.
Una proposta di legge, la n. 2939 dell’11 marzo 2021, è già stata depositata presso la Camera dei Deputati ma i tempi della discussione si stanno facendo lungi (per approfondimenti clicca qui).
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